una statua in pietra volge lo sguardo verso il libro aperto, sull'immagine si trova il titolo del libro, ovvero Fidanzati dell'Inverno, della saga de L'Attraversaspecchi, edito nel 2013, scritto da Christelle Dabos

Uscirono attraverso un grande patio non lontano dal quale stormiva una foresta. Col respiro mozzato dal freddo, Ofelia distingueva il paesaggio meglio di quando era scesa dal dirigibile.
La notte polare non era così buia e impenetrabile come aveva immaginato. Frastagliato dalle cime degli abeti gonfi di neve, il cielo aveva una tonalità indaco fosforescente e si faceva azzurro più chiaro subito sopra i bastioni che separavano la vicina città dalla foresta. Il sole si nascondeva, ma non era lontano. Era lì, quasi a portata di sguardo, sotto la linea dell'orizzonte.
Nascosta dietro la sciarpa, con il naso in un fazzoletto, a Ofelia venne un accidente quando vide la slitta che stavano allestendo per loro. I cani lupo, con il pelo agitato dal vento, erano grossi come cavalli. Una cosa era vedere le Bestie nei disegni di Augustus, un'altra era trovarsele davanti in carne e ossa. La zia Roseline per poco non svenne.
Con gli stivali piantati nella neve e un'espressione impenetrabile Thorn si stava infilando dei guanti da tiro. Al posto della pelliccia di orso bianco ne aveva indossata una grigia, meno ampia e meno pesante, che aderiva meglio al suo corpo mingherlino, e ascoltava con poca attenzione il rapporto del guardacaccia che si lamentava dei bracconieri.
Ancora una volta Ofelia si domandò chi fosse Thorn per quella gente. La foresta era forse sua perché l'altro gli facesse un rapporto in piena regola?
"E i nostri bauli?" intervenne la zia Roseline battendo i denti. "Non li caricate sulla slitta?".
"Ci rallenterebbero, signora" rispose il guardacaccia masticando un pezzo di tabacco. "Non vi preoccupate, ve li faremo recapitare quanto prima da madama Berenilde".
Dato l'accento e il tabacco la zia Roseline non capì subito. Dovette fargli ripetere la frase tre volte.
"Due signore non possono viaggiare senza lo stretto necessario!" si risentì. "Il signor Thorn se la porta, la sua valigetta. O sbaglio?"
"Non è affatto la stessa cosa" sbuffò il guardacaccia scioccato.
Thorn, infastidito, fece schioccare la lingua.
"Dov'è?" domandò ignorando ostentatamente Roseline.
Il guardacaccia indicò con un gesto un punto vago aldilà degli alberi.
"Dalle parti del lago, mio signore".
"Di chi state parlando?" si spazientì zia Roseline.
Con la testa avvolta nella sciarpa neanche Ofelia capiva. Non capiva niente di niente. Il freddo le dava il mal di testa e le impediva di mantenere la lucidità. Brancolava ancora nel buio quando la slitta si mise in movimento sotto la notte polare gonfiandole le sottane per il vento. Rannicchiata sul fondo, sballottata dagli scossoni come una bambola di stracci, cercava con i guanti di impedire che i capelli le frustassero il viso. In testa alla slitta, Thorn guidava i cani. La sua ombra immensa, protesa in avanti, penetrava il vento come una freccia. I sonagli ovattati dell'altra slitta, quella che trasportava il guardacaccia e la zia Roseline, li seguivano discretamente nell'oscurità. Tutto intorno i rami spogli degli alberi graffiavano il paesaggio lacerando la neve e lasciando apparire qua e là lembi di cielo. Scossa in tutti i sensi, lottando contro il sonno vischioso che la intorpidiva, Ofelia aveva l'impressione che quella corsa non finisse mai.
Di colpo le brulicanti ombre del bosco si frantumarono e una notte vasta, cristallina, abbagliante mostrò il suo manto stellato a perdita d'occhio. Dietro gli occhiali, gli occhi di Ofelia si dilatarono. Si raddrizzò sulla slitta, e mentre il soffio gelido della tramontana le si infilava tra i capelli la visione le sbatté in faccia.
Sospesa nella notte, con le torri immerse nella Via Lattea, una formidabile cittadella galleggiava al di sopra della foresta senza nulla che la collegasse al resto del mondo. Era uno spettacolo da pazzi, un enorme formicaio espulso dalla terra, un intreccio tortuoso di torrioni, ponti, feritoie, scale, archi rampanti e comignoli. La città innevata si ergeva sopra un fossato ad anello che la circondava gelosamente, i cui deflussi dell'acqua si erano ghiacciati nel vuoto. Disseminata di finestre e lampioni, rifletteva le sue mille e una luce sullo specchio di un lago. La torre più alta arpionava la falce di luna.
"Inaccessibile" pensò Ofelia, esaltata dalla visione. Era dunque quella la città galleggiante che Augustus aveva disegnato sul suo quaderno?
Thorn le rivolse uno sguardo di sbieco. Dietro i ciuffi chiari che gli frustavano il viso i suoi occhi erano più vivaci del solito.
"Reggetevi!".
Perplessa, Ofelia si aggrappò alla prima cosa che le capitò sottomano. Un risucchio d'aria forte come un torrente le tolse il respiro, mentre i cani e la slitta si lasciavano prendere dalla corrente staccandosi dalla neve. L'urlo isterico della madrina volò verso le stelle. Ofelia invece era incapace di emettere il minimo suono. Sentiva il cuore batterle all'impazzata. Più salivano in cielo, più guadagnavano velocità e più lo stomaco le finiva in fondo alla pancia. Descrissero un ampio anello che le sembrò interminabile quanto le urla della zia. Sollevando scintille i pattini si posarono senza alcuna delicatezza sul ghiaccio dei fossati. Ofelia sobbalzò brutalmente sul pianale della slitta e per poco non fu sbalzata fuori. Finalmente i cani rallentarono la corsa e il mezzo si fermò di fronte a una colossale grata.
"Città-cielo" annunciò laconicamente Thorn mettendo piede a terra.
Non si voltò per controllare che la sua fidanzata fosse ancora lì.

Per accompagnare

Per stravolgere