L'avvenire, una strana minaccia...
Pomeriggio d'inverno. Natalie scende di corsa le scale della scuola media singhiozzando. Un magone che vuole farsi sentire. Che usa il cemento come cassa di risonanza. È ancora piccola, i suoi passi di bambina sui gradini riecheggiano leggeri. Sono le cinque e mezzo, quasi tutti gli studenti se ne sono andati. Sono uno degli ultimi professori a passare lì. Il tam-tam dei passi sugli scalini, l'esplosione dei singhiozzi: ohi ohi, patema scolastico, pensa il professore, esagerazione, esagerazione, patema probabilmente esagerato! Nathalie è giunta ai piedi delle scale. Be', Natalie, be' be', cos'è questo patema? Conosco quest'allieva, l'ho avuta l'anno precedente, in prima. Una bambina insicura, da tranquillizzare spesso. Che succede, Nathalie? Resistenza di principio: Niente, prof, niente. Allora, tanto rumore per niente, signorinella! I singhiozzi raddoppiano e Nathalie, finalmente, spiega tra i singulti la propria pena:
"Pro... Profes... ssore... non... non... riesco... non riesco a capi... non riesco a capire...".
"A capire cosa? Cosa non riesci a capire?"
"La pr... la pro..."
E di colpo il tappo salta, ed esce tutto d'un fiato:
"La proposizione-subordinata-concessiva-introdotta-da-congiunzione...".
Silenzio.
Non ridere.
Mi raccomando, non ridere.
"La proposizione subordinata concessiva? È lei a ridurti in questo stato?"
Sollievo. Il prof si mette a pensare molto in fretta e molto seriamente alla proposizione in questione; come spiegare all'allieva che non c'è da farne una tragedia, che lei la usa senza saperlo, questa cavolo di proposizione (peraltro una delle mie preferite, ancorché sia possibile preferire una subordinata a un'altra...), la proposizione che rende possibili tutte le discussioni, condizione prima della sottigliezza, nella sincerità come nella malafede, bisogna ammetterlo, e tuttavia non c'è tolleranza senza concessione, piccola mia, sta tutto qui, basta elencare le congiunzioni che la introducono, questa subordinata: benché, nonostante che, ancorché, sebbene, malgrado, lo senti che dopo parole del genere ci avviamo verso la sottigliezza, che andremo a dividere capra e cavoli, che questa proposizione farà di te una ragazza misurata e riflessiva, pronta ad ascoltare e a non rispondere a vanvera, una donna con argomenti, magari una filosofa, ecco cosa farà di te, la subordinata concessiva!
Ecco, il professore è partito: come consolare una ragazzina con una lezione di grammatica? Vediamo un po'... Hai cinque minuti, Nathalie? Vieni che ti spiego. Classe vuota, siediti, stammi bene a sentire che è semplicissimo... Si siede, mi ascolta, è semplicissimo. Ci siamo? Hai capito? Prova un po' a farmi un esempio? Esempio giusto. Ha capito. Bene. Va meglio adesso? Neanche per sogno, non va affatto meglio, nuova crisi di pianto, lacrime grosse così, e di colpo questa frase che non ho mai dimenticato:
"Non si rende conto, professore, ho dodici anni e mezzo e non ho concluso niente".
"..."
Tornato a casa, rimugino la frase. Cos'ha mai voluto dire quella ragazzina? "Non ho concluso niente." Niente di male, in ogni caso, innocente Nathalie.
Dovrò aspettare l'indomani sera, dopo aver chiesto informazioni, per sapere che il padre di Nathalie è stato licenziato dopo dieci anni di onorato servizio in qualità di dirigente in una ditta di non so più cosa. È uno dei primissimi dirigenti licenziati. Siamo alla metà degli anni ottanta, fino ad allora la disoccupazione apparteneva alla cultura operaia, se così si può dire. E quell'uomo, giovane, che non ha mai dubitato del proprio ruolo nella società, dirigente modello e padre attento (l'ho visto più volte l'anno precedente, preoccupato per la figlia così timida, così priva di fiducia in se stessa) è crollato. Ha fatto un bilancio definitivo. A tavola, in famiglia, continua a ripetere: "Ho trentacinque anni e non ho concluso niente".
Per accompagnare
Per stravolgere